COMUNICATO: Non è ormai più accettabile la posizione di un paese che continui ad investire enormi risorse economiche sulla ricerca degli idrocarburi minando la salute degli ecosistemi marini.
Si è riacceso in Puglia il dibattito sulla norma del governo “Sblocca trivelle” con la quale il governo ha aperto ai progetti di trivellazione off shore, in particolare alle ricerche di gas e petrolio.
L’assessora all’Ambiente del comune di Mola di Bari, Elvira Tarsitano, nonché vicepresidente dell’Ordine dei Biologi di Puglia e Basilicata, che parteciperà alla riunione degli amministratori delle località costiere prevista per lunedì 23 gennaio presso l’assessorato all’ambiente della Regione Puglia, convocata dall’Assessora regionale all’Ambiente Anna Grazia Maraschio, ha parlato di grave minaccia al mare della Puglia.
L’impiego di trivelle per l’esplorazione dei fondali marini alla ricerca di giacimenti di gas e/o petrolio è una attività che comporta importanti perturbazioni degli ambienti marini e, quindi, delle comunità viventi che le abitano, con tempi di recupero molto lunghi e, comunque, totalmente sconosciuti a priori e rappresentano una minaccia per gli ecosistemi e la biodiversità. Le conoscenze attuali degli effetti di questo tipo di attività si basano, infatti, sull’analisi dei danni arrecati all’ambiente quando questi si sono oramai già verificati e, paradossalmente, tali conoscenze non possono aiutare a prevedere cosa potrebbe accadere in aree marine che ancora non hanno subito l’impatto di tali attività.
Il Mar Mediterraneo è un bacino quasi completamente chiuso, dove l'afflusso continuo di acqua di superficie dall'Oceano Atlantico è la principale fonte del mare di rifornimento e rinnovo dell'acqua. E’ un mare relativamente povero di nutrienti e con una produttività relativamente più bassa rispetto ad altri mari, a fronte comunque di comunità viventi ricche di specie vegetali ed animali che lo rendono unico ed incomparabilmente fragile allo stesso tempo.
Non è opportuno continuare a sottoporre le aree marine ad enormi rischi di inquinamento ambientale che sono inevitabilmente da prevedere se si darà avvio alle campagne di prospezione per la ricerca di idrocarburi nei fondali marini. L’estrazione di gas e/o petrolio, che si prospetta come passaggio successivo a quella dell’attività investigativa, comporta inoltre altrettanti pericoli per la salvaguardia dell’ecosistema marino in termini di rischio di inquinamento derivante dalle attività operative che normalmente si svolgono in queste piattaforme estrattive ed anche da possibili incidenti, inadempienze o eventi imprevedibili.
La letteratura scientifica mondiale mette in evidenza gli effetti dannosi di ispezioni sismiche, ricerca di idrocarburi ed estrazione di petrolio per la vita acquatica anche delle vicine comunità costiere. Non vengono presi in considerazione gli effetti reali a lungo termine su comunità animali e vegetali, pesca, stabilità dei fondali marini ed inquinamento delle acque. Sono assolutamente trascurati i probabili impatti ambientali che potrebbero derivare dalle attività in oggetto quali scoppi di pozzi, dispersione in mare di rifiuti speciali, anche tossici, o la subsidenza.
Il tratto di Mare oggetto delle investigazioni (Adriatico e Ionio) è ancora oggi un mare che ospita specie animali e vegetali di enorme importanza per la biodiversità marina, annoverando la presenza di cetacei, tartarughe marine, squali e praterie di posidonia (habitat necessario alla riproduzione di innumerevoli altre specie marine). Non è da sottovalutare anche la ricchezza delle risorse alieutiche di quest’area marina, nonostante l’enorme pressione delle attività di pesca a strascico e pelagica che concorrono alle economie locali e nazionale con la produzione importantissima di gamberi rosa, rosso e viola e di altre specie ittiche di alto valore commerciale.
Proprio le specie demersali sono le più a rischio, in caso di attività di estrazione di idrocarburi, poiché sono più a contatto con i fondali marini (almeno per una buona parte del loro ciclo vitale) e subirebbero pertanto un impatto la cui entità non è affatto prevedibile. Le ripercussioni non tarderebbero a farsi sentire in tutto l’ecosistema marino, che come è noto resta pur sempre un ecosistema fragile ed ancora non del tutto conosciuto.
Non è ormai più accettabile la posizione di un paese che continui ad investire enormi risorse economiche sulla ricerca degli idrocarburi, nonostante le tecnologie moderne consentono oramai di indirizzare gli sforzi nella implementazione di fonti di energia alternative e, allo stesso tempo, nell’abbracciare una nuova filosofia designata al risparmio energetico, nonché al recupero e riciclo di flussi energetici che sono impiegati in ogni attività lavorativa anche in un’ottica di raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030.
È tempo che le comunità locali siano ascoltate, non si può ignorare il malessere di una popolazione che ha voglia di benessere (non solo economico…), crescita e lavoro più legati alle ricchezze che il nostro paese offre in termini di turismo, arte, natura, e che non ha alcuna fiducia sugli effettivi vantaggi che l’estrazione di idrocarburi farebbe ricadere sul territorio.
Riproporre la centralità del rapporto locale-globale con l’urgenza di superare le logiche emergenziali e settoriali a favore di una visione unitaria e integrata che riaffermi il valore strategico della gestione sostenibile dei conflitti socio-ambientali è la sfida vera della pianificazione ambientale e territoriale.